“Undici pianeti” è l’ultima raccolta di poesie sul poeta palestinese per eccellenza. Edito dalla Jouvence, il libro fu scritto nel 1992, anno che si viene ripreso più e più volte nell’opera. Il concetto chiave del libro è però l’esilio, presente in ogni poesia e con sfumature diverse.
Undici Pianeti
“Presto cercheremo quel che era la nostra Storia accanto alla vostra Storia in paesi lontani, e ci domanderemo alla fine: Dov’era l’Andalusia? Qui o lì… sulla terra… o in una poesia?

L’esilio non cancelli la memoria
Nella seconda parte dell’opera il poeta ritorna invece a ricordare con orgoglio delle origini del suo popolo, antico quanto il mito eppure devastato per la sua bontà. Darwish si appella alle origini cananee, quelle che permisero alla sua terra di scegliere Sofocle prima di Imru Al-Qays. Le due poesie “Una pietra cananea nel Mar Morto” e “Sceglieremo Sofocle” sono un grido al ricordo, alla memoria, al mantenerla incisa nella mente per non sparire. Un concetto molto simile a quello visto nel “Libro nero” di Pamuk che qua ritorna prepotentemente e nello stile di Darwish.

Le ultime due poesie “L’inverno di Rita” e “Un cavallo per lo straniero”, riflettono invece su diverse condizioni di esilio. La prima quella da un amore destinato a ed essere tanto bello quanto condizionato dalla parola fine, la seconda quella di un poeta destinato ad abbandonare l’Iraq a causa della guerra del Golfo. È qui che Darwish lancia il suo ultimo interrogativo prima di concludere l’opera:
“… Amico mio, sulla terra non è rimasta alcuna possibilità per la poesia,
ma nella poesia c’è ancora una possibilità per la terra dopo l’Iraq?