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Hassan Abd Alla, GMI: l’Islam e l’integrazione

In occasione dell’3eid Al Adha (Festa del Sacrificio), abbiamo l’onore di intervistare Hassan Abd Alla, da sempre membro attivo del GMI (Giovani Musulmani d’Italia) e da poco divenutone anche presidente.

K: Chi è Hassan Abd Alla?

H: Hassan Abd Alla è un ragazzo come tanti con ambizioni, paure, difficoltà, passioni e convinzioni, nulla di speciale se non forse una spiccata voglia di servire gli altri.
Sono nato nel 1993, primogenito di una famiglia di immigrati egiziani, una famiglia semplice che mi ha passato i valori fondamentali che ora mi ispirano e influenzano le mie decisioni e i miei comportamenti.

K: Cos’è il Gmi e cosa significa diventarne presidenti?

H: Agli occhi dei più probabilmente il GMI è solo un’associazione giovanile a sfondo religioso, ma per me il GMI è molto di più. Nel mio caso è stato una scuola di vita, il GMI mi ha insegnato molto: mi ha insegnato a lavorare in gruppo, quindi ad avere pazienza e capacità di analisi delle persone e delle situazioni, mi ha insegnato l’umiltà vedendola personificata in molti che mi circondavano in questo lavoro totalmente volontario.
Son convinto che sia tra le cose più belle che mi siano capitate, mi ha cambiato la vita perché mi ha avvicinato alla religione tramite la pratica e l’esempio, questo approccio è molto più incisivo di quello accademico e penso che abbia cambiato la vita a molti altri, perché nel GMI trovi le risposte alle domande che ti assillano, trovi amici ed esempi da seguire come fratelli maggiori.
Hassan Abd Alla
Diventarne presidente significa innanzitutto crederci fino in fondo, essere riconoscenti di tutto quello che il GMI ci ha dato, poi inevitabilmente è un’immensa responsabilità dinanzi a Dio e ai soci ma anche davanti a noi stessi, significa ricambiare parte dei favori che il GMI vanta su di noi.
Penso che per un giovane la presidenza del GMI ma anche le altre cariche dell’associazione siano una bella sfida, bella perchè istruttiva e al contempo divertente, bisogna imparare a giostrarsi bene tra gli impegni personali e quelli associativi, tra il ruolo di amici e colleghi nel lavoro, insomma una bella palestra per la vita e per il lavoro in un contesto di qualità impareggiabile.
Stavo per dimenticare la cosa più importante, diventare presidente GMI significa essere d’esempio, inevitabilmente le persone ti guardano e ti paragonano alla concezione che hanno di questa figura e bisogna esserne all’altezza.
Hassan Abd Alla
Hassan Abd Alla in compagnia del fotografo Idriss Ela

K: “Giovani musulmani italiani”, a chi è rivolto è chiaro ma cosa fa il Gmi in tema integrazione? Hai notato realtà particolari nei tanti anni di Gmi?

H: Le varie sezioni del GMI sono attive e partecipi nelle iniziative locali in tema di integrazione, è un dato di fatto che la stragrande maggioranza dei nostri soci è composta da giovani di seconda generazione, per cui questi sono temi che ci toccano.
Una delle iniziative a mio avviso più significative e che vede il GMI come protagonista attivo e non solo come semplice collaboratore è stata la visita nelle scuole, capitava spesso, soprattutto in periodi turbolenti, caratterizzati da spiacevoli fatti di cronaca, che molti esponenti del GMI si facessero ambasciatori di quello che è il messaggio dell’Islam portando principalmente quello che è il loro viver quotidiano come la prova più evidente che un’integrazione non solo è possibile ma è già una realtà fruttuosa.
Hassan Abd Alla
Alla presentazione di ASM
Nei tanti anni di GMI devo dire che ho notato che ogni realtà ha le sue peculiarità, posso citarti giusto qualche esempio: le comunità di origini bengalesi e pakistane sono molto ordinate, danno molta importanza alla memorizzazione del Corano e secondo me il pregio più grande che hanno è il rispetto che i figli mostrano nei confronti dei genitori; le comunità più piccole come quella di Fossombrone sono molto tenaci e laboriose nonostante abbiano più ostacoli rispetto alle comunità musulmane delle metropoli e poi ho notato che le comunità di origini marocchine sono più open minded, più innovative e pronte a confrontarsi con altre realtà.

K: Quando sei diventato presidente che obiettivi ti sei posto e come si rapporta o con la realtà italiana?

H: Dio ci valuta per gli sforzi, l’impegno e i sacrifici che facciamo non per i risultati che abbiamo raggiunto per cui più che di obiettivi parlerei di punti cruciali sui quali ho deciso di focalizzare la mia attenzione, sono tre: le persone, inteso come sviluppo equilibrato dell’individuo, le nostre sezioni locali che sono il nostro motore e la spiritualità, elemento fondamentale per un’associazione che si ispira a valori religiosi.
Hassan Abd Alla
Io penso che col primo punto si dia un contributo alla società in generale, nello specifico alla società italiana, siamo in un’epoca che ha perso un po’ i punti di riferimento e gli adolescenti che già di loro sono disorientati ne risentono molto, per questo credo che giovani equilibrati e competenti rendano la società più stabile.
Viviamo in un contesto afflitto dai mali del materialismo e dell’individualismo, senza un giusto apporto di spiritualità non andremo molto lontano e dato che i luoghi in cui si cura l’anima sono sempre più rari penso che il GMI sia un po’ un’oasi nel deserto, in fin dei conti il nostro lavoro è un lavoro che mira ad elevare le anime e sono fiducioso che se faremo un buon lavoro i giovani del GMI saranno un valido supporto per chi li circonda; va da sé che per fare tutto questo è fondamentale che le nostre sezioni locali siano prospere e attive.

K: Cosa significa per Hassan l’3eid Al Adha?

H: 3eid Al Adha è un notevole promemoria, Dio ci pone delle sfide per innalzare il nostro livello, senza esami e prove non ci sono lauree e certificati che attestino il nostro progredire, come dice il nome (Adha = sacrificio) ciò implica un sacrificio, così questa festa ci pone inevitabilmente di fronte a un quesito: cosa e quanto sono pronto a sacrificare per Dio che in altri termini è un interrogarsi su quanto ci crediamo, quanta è solida la nostra fede.
Per me significa anche riflettere sulla figura del profeta Abramo, uomo che ha molto da insegnarci.
Hassan Abd Alla
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4 pensieri riguardo “Hassan Abd Alla, GMI: l’Islam e l’integrazione

  1. Complimenti ad Hassan Abd Alla.
    Abbiamo bisogno di persone come lui per favorire l’integrazione e renderla un processo virtuoso in cui tutti, indigeni, stranieri e ragazzi di seconda e terza generazione, possano crescere sia dal punto di vista civico che da quello spirituale.

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  2. Fatta salva ogni ideale intenione e la buonafede di chi l’esprime, resto perplesso. Non di certo nei confronto della necessaria integrazione fra culture, ma perché l’idele di Assan non tiene conto che è necessario integrarsi anche con culture non religiose. Da quello che ho letto, sinceramente non riesco a trovar differenza fra i suoi intenti e quelli di un qualsiasi religioso: istituzionalizzato o no che sia. Prima di una integrazione basata sui regni dei cieli, l’Assan dovrebbe tener ben conto di un progetto che riguardi l’integrazione fra e con i Regni della Terra. Capisco che per un Islamico non vi sia questa separazione. C’è però, per il restante mondo. Ora, se per integrazione, intende un processo culturale e spirituale, avente fine ultimo l’integrazione del pensiero sociale e religioso altro, con il pensiero religioso islamico, altro non persegue l’Assan che una sorta di colonialismo spirituale. L’ha già fatta il Cattolicesimo. Gli è durato sino a che gli è durata la sua sovranità: somma fra potere religioso e politico. Su quella strada, l’Islam rischia di perdere la sua. Ci sarà possibile e stabile integrazione fra Culture sociali e religiose, tanto quanto sapranno distinguere ciò che va dato a Cesare (Dio comunque lo si chiami) e ciò che va dato alla vita: l’IO, comunque lo si chiami; e alla vita tutto deve essere dato fuorché il Dolore. Il Dolore è il male naturale e spirituale da errore culturale. Dove c’è dolore, quindi, non ci può essere verità. Vedo possibile integrazione fra culture, solo quando ci decideremo a seguire questo basilare principio. Velleitario ogni altro pensiero.

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    1. Io passai un 1 anno e mezzo due molto felici nel Gmi e posso dirti che il modello che hai preso ad esempio in realtà non è corretto. Non perché non abbia centrato alcuni che, anche secondo me, sono alcuni problemi alla base del GMI, ma perché non è quello il modello di spunto.
      Storicamente esiste un fortissimo legame fra le comunità Islamiche europee e i Fratelli Musulmani (organizzazione politica che si ispira agli ideali di Hasan Al Banna e che ha portato poi alla nascita di tanti partiti anche nel mondo islamico come l’Akp in Turchia, En Nahda in Tunisia etc…). Io personalmente penso che se riuscisse a parlare anche come cultura anziché solo per fede farebbe il salto di qualità finale. Il problema è che per il ruolo che ha preso nella Ummah italiana sarebbe davvero difficile spostarsi in quella direzione perché moltissimi genitori portano i loro figli al Gmi proprio per l’ambiente “islamicamente corretto” che si è creato. Detto questo tendo a specificare che partecipano spesso ad incontri con personalità dalle opinioni diverse ma secondo me bisognerebbe farsi voce degli stranieri, il GMI ne avrebbe la forza

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      1. “Io personalmente penso che se riuscisse a parlare anche come cultura anziché solo per fede farebbe il salto di qualità finale.” E’ quello che sostengo anch’io, ma per Cultura, quale l’integrativa? “Il problema è che per il ruolo che ha preso nella Ummah italiana sarebbe davvero difficile spostarsi in quella direzione perché moltissimi genitori portano i loro figli al Gmi proprio per l’ambiente “islamicamente corretto” che si è creato. ” Con buona pace dell’integrazione, direi. Per quel poco che capisco, (i miei testi di studio sono gli ultimi, sia a livello sociale che culturale in senso scolastico) quello che hai constatato non è tentativo di integrazione, ma separazione per conservazione. L’Islam occidentale dovrebbe si, conservare quello che è culturalmente suo, ma anche nel suo, quello che deve al sociale dove abita. In vero lo fa anche, ma è un fare che direi mimetizzante al punto da far sembrare la sua pelle quello che di fatto è solo una protettiva e conservatrice tuta. L’univa integrazione che vedo possibile, si basa, a mio avviso, sulla conoscenze (le regole civili e sociali) che permettono la paritaria convivenza fra diversi vissuti, ma se ciò viene visto come “islamicamente (non) corretto”, è chiaro che Isole siamo e isole resteremo. Non mi è completamente chiaro il “farsi voce degli stranieri”. In quale nome? Quello di Cesare o quello di Dio? Se solo quello di Cesare, l’Islam non l’ascolterà mai. Se solo quello di Dio, non sarà d’accordo il Cesare laico e/o ateo occidentale. Se di Cesare e di Dio, fra la cultura islamica e quella occidentale dei religiosi, quale la fondante per integrazione sociale del soggetto islamico in altra terra? No, mio caro: nei casi di generale e reciproca sordità nessun nessuna forza può essere recepita. Bisogna avere “Orecchio” per poterlo, e lo si può, se si ascolta il sentire la reciproca vita, non, il solo udire la reciproca parola.

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